Il Prof. Zapparoli aveva tante cose da insegnare e tanti modi per insegnarle.
Ci ha insegnato ad ascoltare chi abbiamo di fronte, ad ascoltarlo davvero, senza mettere
in mezzo un
“già saputo” frutto di paura,
di pigrizia o di arroganza.
E ce l’ha insegnato con l’ascolto e l’umiltà: l’ascolto
dei nostri,
di bisogni, da cui capiva come aiutarci a capire, e l’umiltà che gli faceva dire che la
maggior
parte di quello che sapeva gliel’avevano insegnato i pazienti, e capivi che lo diceva
sul serio.
Ci ha insegnato a comprendere e rispettare ogni modalità con cui l’uomo cerca di star
bene, anche
le più strane e le più folli, perché la nostra mano tesa fosse un aiuto nella direzione
che l’altro
poteva prendere, e non uno strappo che lo portasse sulla via che noi pensavamo migliore.
E ce l’ha
insegnato capendo e rispettando le nostre, di resistenze e paure, e permettendoci così
di averci a che fare.
Ci ha insegnato ad andare all’essenziale, nel lavoro e forse anche un po’ nella vita,
lui che non
amava i fronzoli, nel lavoro e forse anche un po’ nella vita.
Ci ha insegnato a non sentirci mai arrivati, lui che a 80 anni teneva sulla scrivania
“Il Presidente Schreber” e al nostro sguardo perplesso rispondeva: “Mi sa che alcune
cose non le ho
capite tanto bene”.
Ci ha insegnato ad amare intensamente il nostro lavoro, ma anche tutto il resto, lui che
durante quell’estate dei mondiali è entrato nell’aula dove stavamo facendo lezione, dove
c’era la televisione grande, e ha detto: “Io guardo l‘Italia, chi vuole guardarla con me
è il benvenuto, agli altri buona passeggiata e buongiorno”.
Ci ha insegnato a non avere paura della paura, lui che nel panico altrui si immergeva
guardandolo
dritto negli occhi.
Ci ha insegnato moltissime altre cose, ma forse a questo punto lui avrebbe già tagliato
corto.
E dunque grazie, Professore.
Grazie per i suoi insegnamenti e per aver trovato il modo di trasmetterceli davvero.
Grazie per i suoi libri, che sembravano così semplici quando li leggevi la prima volta,
poi li
chiudevi e ti rendevi conto che capire davvero era un’altra cosa. Finchè un giorno, dopo
mesi,
a volte anni, un paziente diceva una frase e lì capivi, e restavi sbalordito dalla
precisione con
cui lei, Professore, riusciva a entrare in contatto con la mente e con l’animo
umano.
Grazie per i suoi racconti, che ci hanno insegnato tanto e che ci hanno fatto incontrare
volti,
tempi e luoghi che fino a quel momento avevamo solo immaginato.
Grazie per la sua curiosità, che ci ha trasmesso, e per il piacere che le dava vederci
imparare,
che ci dava coraggio e ci scaldava il cuore.
Grazie per il suo entusiasmo, di fronte al quale i nostri momenti di stanchezza o di
sconforto ci
sembravano davvero poca cosa.
Grazie per i suoi sorrisi, a volte divertiti, a volte sornioni, a volte incoraggianti, a
volte messi
lì semplicemente per creare un legame.
Grazie per la sua schiettezza, a volte un po’ destabilizzante, ma che ti faceva sentire
a casa.
Grazie per la sua ironia, acuta, intelligente, coinvolgente.
Grazie per la sua disponibilità, grande e incredibile.
Grazie per la sua saggezza, vera e piena, porto sicuro quando ti sentivi in mezzo alla
burrasca.
Grazie per la generosità con cui ci ha dato tutto questo.
E infine un ultimo grazie, un grazie che ci diceva sempre lei, Professore, dopo ogni
lezione, dopo ogni
supervisione, lasciandoci senza parole, confusi ma con una gioia profonda, perché era
ironico, certo,
ma forse non del tutto.
Come ci diceva sempre lei, Professore, grazie per la
fiducia.
Le vogliamo un gran bene.
Riposi in pace.
Valentina Franchi