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06/23/2025

PRIDE MONTH: coltivare l’orgoglio per prendersi cura della salute mentale

Chiara De Bella

Ogni anno, nel mese di giugno, si celebra il Pride Month, una ricorrenza internazionale dedicata alla lotta per i diritti delle persone LGBTQIA+ e alla celebrazione dell’orgoglio della comunità. Questa importante ricorrenza ha origine nei Moti di Stonewall, una serie di rivolte che si svolsero a partire dal 28 giugno 1969, a New York, presso il bar Stonewall Inn. Queste rivolte nacquero come reazione alle retate da parte della polizia nei confronti delle persone gay e transgender, e rappresentarono un momento di svolta nel movimento per i diritti civili delle persone LGBTQIA+. Dall’anno successivo, infatti, si sono tenute le prime parate del Pride in diverse città degli Stati Uniti, con l’obiettivo di commemorare gli eventi di Stonewall e di promuovere i diritti e l’uguaglianza per tutte le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+. Nel corso degli anni, questa celebrazione si è diffusa in molte altre parti il mondo, assumendo un ruolo fondamentale nel sensibilizzare l’opinione pubblica e nel promuovere l’inclusione sociale.

In Italia, il mese del Pride viene celebrato attraverso numerosi eventi, tra cui parate che attraversano diverse città della penisola, oltre a iniziative culturali, incontri divulgativi e momenti di confronto che coinvolgono la società civile.

Sebbene il principale obiettivo del Pride sia la rivendicazione dei diritti civili e l’affermazione dell’orgoglio della comunità LGBTQIA+, è importante sottolineare che queste celebrazioni hanno anche un impatto significativo positivo sulla salute mentale delle persone appartenenti a questa comunità. Per comprendere meglio questa connessione, è utile fare riferimento alla teoria del Minority Stress, sviluppata da Ilan H. Meyer. Questa teoria descrive lo stress cronico che vivono i gruppi minoritari, come quello vissuto dalle minoranze sessuali, a causa dello stigma, delle discriminazioni e dei pregiudizi subiti all’interno della società che creano un ambiente ostile e stressante, che a sua volta causa problemi di salute mentale.

Il Minority Stress si manifesta attraverso vari aspetti, che si collocano su un continuum che va da stressor più distali a quelli più prossimali. Tra questi troviamo:

          Violenza e discriminazione: L’appartenenza a un gruppo minoritario, come quello a una minoranza sessuale, porta a un maggiore rischio di esposizione a eventi traumatici. È importante notare, in questo frangente, che gli stressor non sono solo episodi di violenza e discriminazioni vissuti in prima persona, ma anche assistiti o riferiti: le esperienze di persone vicine o le notizie di cronaca possono aumentare il senso di insicurezza e pericolo.  All’interno di questi stressor troviamo anche violenze meno visibili e subdole, chiamate microaggressioni, volte a ferire, umiliare o stereotipare la persona o a invalidarne i vissuti.

          Aspettative di rifiuto: Esperienze dirette e indirette di discriminazione portano a sviluppare un’aspettativa di rifiuto da parte della società, che genera ansia sociale e stati di vigilanza. Nelle minoranze sessuali, dove l’appartenenza al gruppo è più facile da nascondere rispetto che, ad esempio, in alcune minoranze etniche, l’aspettativa di discriminazione porta le persone a mettere in atto delle strategie di concealment, ovvero il tentativo di nascondere la propria identità minoritaria al fine di mettersi in una condizione di maggiore sicurezza. Il concealment, se da un lato può essere utile come strategia di coping per evitare situazioni potenzialmente pericolose, dall’altro rappresenta una grande fonte di stress e di disagio emotivo. L’aspettativa di rifiuto, inoltre, contribuisce ad aumentare il rischio di isolamento sociale.

          Omobitransfobia interiorizzata: La dimensione più prossimale è rappresentata dall’interiorizzazione degli atteggiamenti negativi e dei pregiudizi della società nei confronti della propria identità di genere o orientamento sessuale. In diversi studi è emerso come questa dimensione sia correlata a svariati problemi di salute mentale interiorizzanti, come depressione e ansia.

 

In questo contesto, è fondamentale intervenire sui fattori di resilienza per migliorare il benessere e la salute mentale delle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+. La resilienza, infatti, rappresenta la capacità di affrontare e superare le difficoltà, e può essere rafforzata attraverso alcuni elementi chiave. In particolare, ne possiamo individuare due: l’orgoglio della propria identità e la connessione con la comunità di appartenenza.

 

Coltivare l’orgoglio della propria identità significa sviluppare e rafforzare la capacità di definire la propria identità e di abbracciare il proprio valore personale. Questa abilità riveste un ruolo cruciale nel processo di resilienza, poiché funge da fattore protettivo interno contro i messaggi negativi e gli stereotipi derivanti dalla discriminazione e dall’omobitransfobia interiorizzata. Le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ che riescono a mantenere un forte senso di orgoglio della propria identità, infatti, tendono ad avere un’immagine di sé più solida e rafforzata. Questo, a sua volta, le rende più capaci di difendersi e di affrontare con maggiore sicurezza le sfide di un contesto sociale cisnormativo e, talvolta, ostile. Coltivare l’orgoglio diventa quindi un importante fattore protettivo, che aiuta a contrastare le conseguenze più dannose di pregiudizi e discriminazioni.

 

Un altro elemento fondamentale per rafforzare la resilienza è la connessione con la comunità di appartenenza. Questa rappresenta un importante fattore di supporto sociale, poiché la presenza di una rete di supporto solida offre modelli positivi ed efficaci, che possono rafforzare l’autostima e l’autoefficacia, contribuendo a normalizzare le reazioni emotive legate alla discriminazione e alle difficoltà quotidiane, oltre che a offrire modelli di strategie di coping funzionali. Tuttavia, è importante sottolineare che questa rete di supporto non è sempre facile da coltivare: le persone LGBTQIA+ spesso tendono ad avere una rete sociale, sia amicale che familiare, più ristretta e meno stabile rispetto a quella delle persone eterosessuali e cisgender. Questa condizione può essere causata sia dalle discriminazioni e dai pregiudizi, sia dall’isolamento sociale che deriva dall’aspettativa di rifiuto.

 

Giungiamo dunque all’impatto positivo che il Pride Month ha sul benessere psicologico della comunità LGBTQIA+. Questo mese, grazie all’organizzazione di numerose iniziative, eventi culturali e manifestazioni pubbliche, rappresenta un’occasione preziosa per promuovere la connessione tra le persone e rafforzare il legame con le realtà territoriali. Tali momenti di incontro favoriscono lo sviluppo di reti sociali solide e significative all’interno del gruppo di riferimento, contribuendo a consolidare il senso di appartenenza comunitaria.

 

Come suggerisce il nome stesso, il Pride Month costituisce anche un’opportunità importante per alimentare e consolidare l’orgoglio nei confronti della propria identità. Questo elemento, come abbiamo precedentemente analizzato, riveste un ruolo cruciale per la salute mentale e il benessere emotivo delle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+. In particolare, le parate assumono un valore simbolico e pratico notevole: vengono spesso vissute come spazi sicuri e accoglienti, in cui è possibile, anche solo temporaneamente, sospendere la costante vigilanza e il concealment della propria identità, rappresentando contesti privilegiati in cui poter esplorare, affermare ed esprimere liberamente la propria autenticità.


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