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11/28/2025

LE EMOZIONI: il ruolo della paura

Daniela Mazzitelli

Ciao, come stai? Quante volte ti è capitato di sentire questa domanda, che tu sia per strada o che chiami qualcuno, in maniera del tutto convenzionale tendiamo a chiedere come stai e non come ti senti o addirittura sei felice?

Il come stai spesso ci porta a prestare attenzione al corpo, solo al corpo direi, mentre provare a chiedere sei felice, hai paura, sei triste, potrebbe mettere in difficoltà alcuni, perché porta a soffermarsi non solo sul corpo, ma anche sulla mente, cosa che non tutti siamo abituati a fare. Ciò significa fermarsi un attimo e ascoltarsi. 

Nella nostra cultura si ha la tendenza a prestare poca attenzione alle emozioni, ancor di più se queste sono viste come negative. Oggi abbiamo degli standard di vita più elevati che mai, eppure se ci guardiamo intorno, le persone non sembrano felici. Le nostre menti non si sono evolute per farci "sentire bene", ma per aiutarci a sopravvivere in un mondo pieno di pericoli. L'uomo primitivo si difendeva per non farsi uccidere e vivere più a lungo, oggi la mente moderna non ci mette in guardia dalle tigri, ma i nemici alle volte diventano le emozioni stesse o le situazioni ad esse collegate. 

Ma cosa sono le emozioni?

Le emozioni, sono state e sono un campo di interesse e di studio. 

Nonostante vi siano molte teorie, si è d'accordo sul fatto che le emozioni sono sistemi complessi, che comprendono diverse componenti che vengono attivate insieme.  Sono un processo interiore generato da un evento significativo per l'individuo. La presenza di un'emozione si accompagna a esperienze soggettive e da cambiamenti fisiologici e comportamentali. 

Abbiamo:

  • un vissuto soggettivo che accompagna l'emozione;
  • la valutazione cognitiva dell'avvenimento, che è all'origine dell'emozione, di cui si stima l'impatto che quell'evento ha rispetto ai propri scopi;
  • i cambiamenti fisici che accompagnano l'emozione e preparano fisiologicamente l'organismo a reagire all'evento.

Inoltre, le emozioni sono contraddistinte da un'espressione con la quale segnaliamo le nostre emozioni agli altri.

A grandi linee, possiamo distinguere le seguenti teorie sulle emozioni:

  1. Teorie neurofisiologiche
  2. Teorie cognitive
  3. Teorie neoevoluzionistiche
  4. Teorie costruzionistiche

Sicuramente, un grande contributo, ha avuto la teoria di Paul Ekman. Questi, attraverso una serie di studi condotti in diverse culture del mondo, ha identificato sei emozioni fondamentali, che sono innate e riconoscibili in tutto il mondo, suggerendo una base biologica comune per le emozioni umane, come sosteneva Darwin, che se ne occupò nel saggio "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli altri animali", pubblicato nel 1872.

Ekamn, con la sua teoria neuroculturale, dimostrò l'universalità delle emozioni analizzando migliaia di espressioni facciali. Notò che gli atteggiamenti del volto di un gruppo di individui della Nuova Guinea quando provavano un'emozioni erano uguali a quelle mostrate da coloro che abitavano nel mondo occidentale.

Di conseguenza, affermò che esistono emozioni comuni, uguali per tutti e in tutte le culture e che possono essere definite come primarie. Tali emozioni primarie sono:

  1. Rabbia
  2. Paura
  3. Tristezza
  4. Felicità
  5. Sorpresa
  6. Disgusto

Successivamente, insieme a Friesen, condusse degli studi specifici ed elaborò quello che oggi è il metodo più famoso e attendibile per la lettura delle espressioni facciali, il FACS (Facial Action Coding System). I due hanno affermato che le emozioni hanno radici biologiche e non necessitano di essere apprese per manifestarsi. A dimostrarlo è la loro presenza anche nei bambini molto piccoli, nei non vedenti o nei sordomuti dalla nascita, soggetti che non hanno avuto altre occasioni di apprenderli. Inoltre, hanno sottolineato che le espressioni emozionali vengono influenzate da fattori culturali, dall'apprendimento, dalla predisposizione e questo dettaglio spiega come vi possano essere differenze individuali nella loro manifestazione.

L'uomo non prova solamente quelle che sono state definite come emozioni primarie o di base; esistono delle emozioni secondarie o complesse, cioè emozioni che si formano da una combinazione delle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell'individuo e con l'interazione sociale. Non sono dunque innate e universali, ma si formano tramite processi di apprendimento in uno specifico contesto sociale. Tra le emozioni secondarie troviamo l'invidia, la vergogna, la noia, l'ansia, il rimorso, la delusione ecc.

C’è un’emozione, la più antica di tutte, che spaventa le persone forse perché ignorano la sua funzione, parlo della PAURA; spesso confusa con l'ansia, con la quale ha un grado di parentela strettissimo, ma rispondono a sistemi differenti.

Molti di noi convivono con la paura, o meglio, le paure: la paura dei ladri, della morte, della malattia, di non farcela, di non essere abbastanza, di rimanere soli e comunemente si tende ad evitarla. Si pensa che quanto più si è liberi da paure, più si è forti; ma è solo grazie alla paura che è possibile affrontare in modo adeguato il pericolo. I pericoli sono una delle facce del nostro essere esposti all'ambiente in cui viviamo. La paura è la sofisticata reazione a tali minacce. Costituisce il nostro modo di vivere, sentire e rispondere al pericolo. Per cui è un "sistema difensivo"; essenziale per la nostra sopravvivenza. Ognuno di noi conserva nella memoria un fatto in cui ha provato una sensazione di paura acuta. Provare paura verso un oggetto o un evento significa essere in grado di valutarne la pericolosità e quindi mettere in atto una serie di azioni in grado di limitarne la valenza negativa e distruttiva e a volte trasformarla in modo costruttivo.

Davanti ad un pericolo mortale perdiamo all'istante il desiderio di cibo, di sesso, di tutto ciò che non riguarda quel pericolo. Tutti i nostri apparati si bloccano e il cervello prepara il corpo ad affrontare una possibile lotta o un eventuale fuga.

Se cammino in una via deserta ad una certa ora della notte e sento un rumore, subito si risveglia la mia attenzione, mi ritraggo, tendo l'orecchio acuendo la mia capacità percettiva, il mio corpo evita movimenti bruschi. Il "trasalire" implica tre funzioni: fiutare l'evento inatteso, ritirarsi e sospendere altre azioni per predisporci ad agire. Ma cosa interviene a farci percepire uno stimolo come dannoso? Per stimolo si intende una serie di eventi, circostanze, situazioni che vengono denominate "antecedenti situazionali", la valutazione di pericolosità di un antecedente situazionale dipende dall'esperienze individuale. Nella valutazione dello stimolo entrano in gioco: la novità dello stimolo, il grado di piacevolezza o spiacevolezza dello stimolo; la rilevanza dello stimolo per i bisogni e gli scopi del soggetto, la capacità di far fronte (coping) allo stimolo attivante l'emozione e alle sue conseguenze (se riterrò lo stimolo controllabile allora ciò trasformerà lo stimolo da minaccia in sfida; mentre all'opposto, l'incontrollabilità è il corrispettivo dell'ansia).

Mentre il sistema di valutazione elabora a livelli sempre più complessi l'antecedente emozionale, il nostro corpo si prepara ad affrontarne le conseguenze. La fuga e la lotta costituiscono le due fondamentali possibilità di risposta al pericolo. La ritirata non è solo una istintiva e immediata modalità di sottrarsi al pericolo, essa richiede un'attenta osservazione della relazione tra le proprie risorse e le opportunità offerte dalla relazione. Selastradaèchiusa,anullaserveessereveloci.

Nella vita comune i termini lotta e fuga possono essere tradotti rispettivamente con i termini più quotidiani di "affrontare i problemi" o "evitare i problemi". 

Si nota come la paura sia un sistema complesso, una modalità articolata messa in atto dagli individui per relazionarsi all'ambiente ed esplorarlo contenendo i pericoli.

Come si manifesta la paura?

C'è la paura che sentiamo (il tremore, il sudore, il vuoto nella pancia, l'accelerazione del battito cardiaco, lo stato di tensione, ecc.) e la paura che esprimiamo (il grido, l'urlo, l'espressione del viso, del corpo, ecc.). Entrambi questi aspetti sono connessi con quella che viene definita attivazioneemotiva (arousal) che costituisce una parte rilevante dell'emozione.

A livello neuronale, grazie agli studi delle neuroscienze, possiamo ipotizzare che il cervello dell'uomo possiede più circuiti interconnessi per reagire al pericolo ed elaborarlo. Il primo, il circuito primitivo, governa la primaria reazione di emergenza che consente di porre in atto il repertorio comportamentale di quasi tutti gli animali che si trovano in pericolo: la lotta o la fuga. Questi agisce al di fuori del diretto controllo conscio o razionale. Ha sede nella profondità dell'encefalo in una struttura antichissima: il sistema limbico, qui troviamo anche l'amigdala che controlla continuamente l'enorme flusso di informazioni per individuare eventuali segnali di pericolo, inoltre sembra in grado di memorizzare semplici ricordi di sensazioni che abbiamo imparato a temere; poi c'è il talamo che trasforma i segnali in entrata in informazioni che il resto del cervello possa leggere e le avvia alla corteccia per l'interpretazione e l'elaborazione successiva. Il cervello opera usando una combinazione articolata di segnali elettrici e di sostanze chimiche, i neurotrasmettitori.  La noradrenalina sensibilizza parti importanti della corteccia cerebrale, altri sistemi producono serotonina, dopamina, acetilcolina e adrenalina. Differenti combinazioni di questi e di altri neurotrasmettitori possono produrre differenti livelli di paura. Quindi, qualsiasi oggetto o sensazione entri nel nostro campo di azione, viene processata dal circuito primitivo che genera una reazione emotiva, positiva o negativa. Il collegamento tra il sistema limbico e la corteccia prefrontale viene chiamato circuito razionale, questo è più lento e più elaborato e permette un'analisi sofisticata delle informazioni ricevute dal primo. Un ultimo circuito è quello conscio, che evolve dal sistema limbico. È qui che vengono prese le decisioni tra le possibilità offerte dal circuito razionale; per esempio può arrestare la reazione di fuga scatenata dal circuito primitivo. Questo circuito è caratterizzato dalla autoconsapevolezza, ossia dalla coscienza di provare paura. In altri termini, il sistema primitivo ha sicuramente la prima parola, ma non è detto che abbia l'ultima.

Dopo aver accennato al fantastico mondo neuronale, prima di concludere c'è da dire che spesso parliamo di paura facendo però riferimento ad una famiglia di stati emotivi. Il lessico utilizzato per descrivere situazioni/esperienze spaventose include: terrore, timore, ansia, panico, apprensione, preoccupazione, allarme, orrore, ecc. Le diverse componenti della paura possono essere ordinate in funzione di due dimensioni che si intersecano: l'intensità emotiva (che va dalla generica preoccupazione al terrore - panico) e il controllo cognitivo della minaccia, cioè la possibilità del soggetto di conoscere e prevedere il pericolo. Il terrore, per esempio è spesso provocato dal dolore relativo a una determinata minaccia; ne è un esempio il terrore della morte. Il panico invece, è una reazione immediata e poco consapevole, propria dell'azione del sistema di emergenza.

Infine, un cenno all'ansia, protagonista del nostro secolo. Ansia e paura, seppur sorelle, rispondono a sistemi differenti. La paura è provocata da stimoli esterni, reali o meno; l'ansia è determinata da processi cognitivi interni, ossia dal pensare allo stimolo che ci fa paura. Entrambe producono la medesima reazione, ma l'ansia è concentrata sul futuro, su qualcosa che non è presente, non accade ora. Spesso ciò che temiamo non si verifica, ma lo stato di ansia persiste come uno stato interno di allarme costante, prolungato, perciò è logorante. Si potrebbe dire che l'ansia è la paura di provare paura. L'ansia si distingue dalla paura per la mancanza di uno stimolo esterno che provochi la reazione, è piuttosto la paura interna del mondo esterno. 

Abbiamo visto che spesso emozioni che evitiamo, in realtà ci salvano, ci aiutano, ci difendono, in particolare come la paura sia un vero e proprio sistema emotivo, e non un semplice modo di sentire.


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