Gli inizi. L'integrazione tra psicologia sperimentale e psicoanalisi
Giovanni Carlo Zapparoli nasce a Omegna il 13 settembre 1924.
Si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1949 all’Università di Pavia e nel 1950 inizia a frequentare l’Istituto di Psicologia dell’Università di Milano, diretto da Cesare Musatti. Qui, insieme ad altri allievi, porta avanti da una parte indagini di psicologia sperimentale, psicologia clinica e psicopatologia sperimentale, dall'altra l'interesse per la psicoanalisi, partecipando alle riunioni organizzate da Musatti a Milano, sul modello di quelle viennesi della Società Psicoanalitica, e avviando, sempre con Musatti, un’analisi didattica.
Era quello un periodo pionieristico per la psicologia in cui spesso gli studiosi si occupavano non di un ambito settoriale e specialistico della disciplina, ma lavoravano approfondendo diversi campi e interessi anche molto lontani tra loro quali, come nel caso di Zapparoli, la psicologia sperimentale e la psicoanalisi.
Nei suoi studi di psicologia sperimentale approfondisce il movimento stroboscopico, o movimento apparente, in cui elementi statici presentati in rapida sequenza producono in noi la percezione di un solo elemento che si muove nello spazio; da qui l'evidenza che i nostri organi di senso tendono costantemente a integrare gli stimoli.
L'interesse per l'integrazione è già dunque presente all'inizio della vita professionale di Zapparoli, promosso dalla vitalità e apertura del periodo ma anche, probabilmente, dalla sua innata curiosità.
La clinica della psicopatologia grave (e non solo). L'integrazione funzionale e l'integrazione tra modelli di intervento
Interessato ad approfondire il trattamento nel campo della psicopatologia grave, nel 1952 il Professore comincia il suo lavoro presso l’Ospedale Psichiatrico provinciale di Milano in Mombello, accompagnato da Musatti, oltre che dalla curiosità di cui sopra. Da subito inizia a dialogare con i degenti, pratica inusuale per un'epoca in cui il dialogo volto alla comprensione psicodinamica era principalmente rivolto ai pazienti nevrotici; incoraggiato dai miglioramenti notati durante le sedute, si convince della possibilità di accostarsi con un trattamento integrato bio-psico-sociale anche ai pazienti psicotici.
Diviene poi consulente dell’Amministrazione provinciale di Milano, prima come responsabile del Laboratorio di Psicologia dell’Ospedale psichiatrico “Paolo Pini”, poi, dal 1979, come direttore del Centro di Psicologia Clinica della Provincia di Milano; qui nascono altre due importantissime forme di integrazione proposte dal Professore: il modello dell'integrazione funzionale e l'integrazione tra diverse forme di terapia.
Il modello dell'integrazione funzionale è forse il contributo in assoluto più significativo di Zapparoli, sia perchè ha costituito una svolta nel trattamento della psicopatologia grave, sia perchè è quello che più rappresenta alcune caratteristiche personali e professionali del Professore. Tale modello, infatti, anzitutto nasce dall'ascolto che ormai da tanti anni praticava: dall'ascolto dei bisogni, seppur patologici ed espressi in modo patologico, dei pazienti psicotici, a cui il Professore si è sempre accostato con interesse e rispetto, considerandoli non una deviazione dalla norma da correggere, ma un peculiare – anche se complicato – modo di stare al mondo; non li ha chiamati sintomi, né sindromi, ha continuato a chiamarli bisogni, bisogni “specifici”. L'altro aspetto centrale del modello è quello dell'integrazione delle funzioni di cura; anch'esso deriva da un atteggiamento che integra, profondamente, la dignità e i limiti di ogni professione d'aiuto. Se la diagnosi consiste nella comprensione del bisogno specifico di ogni paziente, diceva il Professore, l'intervento per essere efficace deve rispondere a tale specificità, attraverso funzioni via via diverse; ne deriva che per alcuni servirà un intervento medico-psichiatrico e una farmacoterapia, per altri un intervento psicologico, da scegliere in base a indicazioni e controindicazioni degli stessi, per altri ancora un intervento assistenziale, educativo o infermieristico, e così via. Tutti i pazienti avevano uguale dignità, e così tutti gli operatori; intorno a un modello del genere, che oltre a dimostrare con le evidenze cliniche la sua efficacia creava un clima di rispetto e collaborazione, si va formando dunque un gruppo di lavoro multidisciplinare che svolge un ruolo di rilievo nel superamento degli ospedali psichiatrici, degli istituti medico-psico-pedagogici e delle scuole speciali.
La formazione. La bottega d'arte e l'integrazione tra sicurezza e curiosità
Parallelamente Zapparoli porta avanti anche un'intensa attività di formazione. Conseguita la libera docenza in Psicologia nel 1958, inizia a tenere corsi liberi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e presso la Scuola di specializzazione in Psicologia dell’ateneo milanese.
Membro di società psicoanalitiche nazionali e internazionali, svolge funzioni di supervisione e coordinamento di programmi elaborati secondo il modello dell’integrazione funzionale.
A partire dal 1987 dirige la collana “Modelli di Intervento Psichiatrico” dell’editore Bollati Boringhieri e nel 1989 fonda con Maria Clotilde Gislon l’Iserdip (Istituto per lo Studio e la Ricerca sui Disturbi Psichici), all'interno del quale diviene Responsabile Scientifico e docente della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Integrata, che ha come obiettivo l’insegnamento del modello psicoanalitico, del modello cognitivo-comportamentale, del modello integrato, nell’ambito della psicoterapia breve focale integrata. Nel 2000 dà vita alle edizioni Dialogos.
Zapparoli paragonava il suo setting di formazione alle botteghe d'arte rinascimentali: erano – e continuano a essere – luoghi di incontro tra professionisti più o meno esperti, i primi con il compito di insegnare, i secondi con il desiderio di imparare, ma accomunati dall'idea che ognuno possa portare un contributo prezioso, secondo la sua esperienza, le sue caratteristiche e i suoi punti di vista, alla comprensione e alla conoscenza. L'invito del Professore, come nelle botteghe d'arte, era a un apprendimento approfondito e rigoroso, di cui poi “dimenticarsi” (diceva proprio così) per favorire un approccio alla cura creativo, cucito addosso ai bisogni del paziente, ma a partire da una stoffa resistente e di qualità. Un assetto del genere – sicuramente incarnato dalla personalità del Professore, ma che è stato almeno in parte trasmesso anche a chi l'ha conosciuto e vissuto – è alla base di un clima collaborativo più che competitivo e, soprattutto, garantisce ai professionisti più giovani la possibilità di sperimentarsi in un equilibrio tra sicurezza e curiosità tollerando l’incertezza insita nel desiderio di saperne di più e accettando il fallimento con la fiducia di poter apprendere dall’errore.
Detto in altre parole Zapparoli, quando insegnava come quando curava, stava in costante e attentissima – anche se naturale – osservazione di bisogni, potenzialità e paure di chi aveva di fronte, e da lì partiva per costruire lezioni e supervisioni fruibili e, al tempo stesso, mentre con le parole insegnava come curare, con i fatti lo dimostrava. Tutto questo lo faceva con una grandissima generosità, non risparmiandosi, e trasmettendo così la sensazione che davvero gli stesse a cuore che passasse il messaggio, e anche il testimone.
Molto vasta, infine, è la sua produzione scientifica. Ha pubblicato su riviste scientifiche nazionali e internazionali, ottenendo una significativa notorietà; tra le sue opere ricordiamo: “Psicoanalisi del delirio” (1967), “La perversione logica” (1970), “La paura e la noia” (1979), “La psicosi e il segreto” (1987), “La psichiatria oggi” (1988), “Paranoia e tradimento” (1993), “La realtà psicotica” (1994), “Vivere e morire” (1997), “La follia e l’intermediario” (2003), “La Diagnosi” (2004), “Psicopatologia grave: una guida alla comprensione e al trattamento” (2008), “Introduzione al modello dell’integrazione funzionale nella patologia grave” (2009).
Vivere e morire
Il Professor Zapparoli muore a Camogli il 31 luglio 2009, mentre sta nuotando nel mare che tanto amava; aveva lavorato, insegnato, scritto fino a pochi giorni prima.
I suoi figli, nel suo necrologio, hanno scritto: “Sei morto come sei vissuto”. La morte l'ha trovato vivo, come recita la famosa frase dello scrittore Marcello Marchesi (curiosamente morto anche lui mentre nuotava). Ha avuto la possibilità di rimanere coerente fino alla fine con quello che aveva sostenuto in uno dei suoi libri più particolari, “Vivere e morire”: “La prospettiva della vita come un dono e della morte come un evento naturale aiuta a contrastare la disperazione e il senso di impotenza di fronte all'ignoto”.
Faceva così il Professore: ti insegnava con le parole della teoria, con i casi della clinica, ma anche – forse soprattutto – con l'esempio della pratica, portandoti a bottega. Ti insegnava così e ti spronava a curare così, “mettendo e togliendo gli occhiali”, integrando rigore e naturalezza. Perché predicava bene Zapparoli, ma razzolava ancora meglio.