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11/28/2024

LA DIPENDENZA AFFETTIVA

Alessandra Messa

“Quando la relazione mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo'' (“Donne che amano troppo’’, R. Norwood, 1985)

Quando pensiamo al termine dipendenza, la prima immagine che si presenta nella mente è l’abuso di sostanze stupefacenti o di alcol, quasi sottintendendo che tale problematica si possa legare solo ad un oggetto chimico o fisico. I meccanismi che la caratterizzano invece sono trasversali ed estendibili anche alle dinamiche relazionali.

L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive il concetto di Dipendenza Patologica “come quella condizione psichica e fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.’’

In questa definizione rientrano anche le dipendenze comportamentali senza sostanza, o “new addiction’’, come il disturbo da gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo, la dipendenza da attività sportiva e lavoro, la new technologies addiction (dipendenza da internet, social network, videogiochi, televisione, ecc..).

La dipendenza fa riferimento quindi ad un’alterazione del comportamento della persona, che sente un bisogno intenso, costante e pervasivo dell’oggetto di bisogno, fino a rendere tale condizione patologica.

Il bisogno costante e ininterrotto di assumere o stare accanto all’oggetto di dipendenza, porta la persona a modificare, fino a stravolgere, le proprie abitudini, provocando una significativa compromissione della vita personale, sociale, relazionale e lavorativa.

La dipendenza, con il passare del tempo, genera una tale impotenza e perdita di controllo sul sé e sulla vita della persona che ne soffre, da renderla paragonabile ad un personaggio di un videogioco: con sembianze umane ma senza potere decisionale o libertà d’azione, manovrato nel proprio agire solo da un joystick.

Possiamo parlare di dipendenza affettiva quando tali dinamiche si strutturano in una relazione affettiva, rendendo l’altro l’oggetto di bisogno.

La dipendenza affettiva, nello specifico, è un modo patologico e disadattativo di entrare in relazione con manifestazioni e sintomi ricorrenti:

  • Rinuncia dei propri interessi, perdita di autonomia, di cura di sé e dei propri bisogni;
  • Disinvestimento sul sé e sulle altre altre relazioni significative, a favore del partner;
  • Tendenza all’idealizzazione dell’altro;
  • Pensieri ossessivi sull’altro e bisogno compulsivo della sua vicinanza;
  • Percezione di assenza di controllo e costante rimuginio;
  • Paura dell’abbandono, del vuoto e della solitudine;
  • Depressione e ansia;
  • Vergogna, senso di colpa, isolamento;
  • Assenza di reciprocità relazionale;
  • Costante bisogno di validazione esterna;
  • Dinamiche relazionali manipolatorie.

In una relazione con tali caratteristiche, si assiste ad un costante rapporto di subordinazione dell’uno nei confronti dell’altro: il partner diventa il centro, o peggio il senso, della propria vita.

L’altra persona assume un ruolo salvifico e la sua vicinanza diviene necessaria per la propria sopravvivenza psichica ed emotiva, tanto da rendere la possibilità della perdita intollerabile.

La paura dell’abbandono porta il dipendente emotivo a vivere in un costante e pervasivo stato di allarme e controllo dell’altro al fine di evitare il suo allontanamento.

La paura della solitudine induce a voler tenere il partner vicino attraverso comportamenti compiacenti, orientati al sacrificio, alla dedizione totale ai suoi bisogni, con una disponibilità e un accudimento costanti. L’altro diventa regolatore di stati emotivi interni percepiti come soverchianti. L’idea della separazione porta con sé una profonda angoscia, un senso di vuoto, la disgregazione del sé, impedendo alla persona di valutare i reali benefici della relazione e i costi che ha tale vicinanza, preferendo avere l’altro ‘’ad ogni costo’’.

I cambiamenti vengono percepiti come minacce per la relazione stessa che per questo assume caratteristiche rigide e statiche. Investita di tale responsabilità, risulta spesso inappagante, poco soddisfacente e fonte di sofferenza e frustrazione.

Tale dinamica si può paragonare ad una stanza senza uscite e finestre, dove inizialmente ti senti al sicuro, ma progressivamente muori per asfissia.

Tutto ruota intorno al partner, generando il rischio per la persona di allontanarsi sempre di più da amici, familiari, interessi, hobby che vengono progressivamente ridotti così come il tempo investito, al fine di dedicarsi completamente all’oggetto d’amore. Vi è un investimento totalizzante sull’altro e sulla coppia, sia a livello di pensiero che di tempo, a discapito di altre relazioni affettive.

Per quanto si possa pensare che tale attaccamento sia una dimostrazione d’amore, non dobbiamo farci trarre in inganno! In questi rapporti il legame non si basa sul sistema di piacere: l’altro viene ricercato per necessità.

L’annullamento di sé riduce la propria autonomia e individualità, rendendo anche le attività svolte da soli poco significative, tristi e prive di senso. Vi è una mancanza di energia nell’alimentare i progetti personali e lavorativi, spesso dovuta ai sentimenti depressivi che accompagnano la dipendenza affettiva.

Le emozioni più sperimentate dal dipendente infatti sono l’ansia, il senso di colpa e la vergogna.

Quest’ultima rinforza la tendenza all’autoisolamento, temendo il giudizio delle altre persone rispetto a sé, al proprio modo di agire e alla relazione.

Spesso vi è nella persona dipendente affettivamente una consapevolezza, che emerge col passare del tempo, di quanto tale condizione provochi sofferenza, ma la ricerca del piacere e della tranquillità viene inesorabilmente individuata sempre e solo all’interno della relazione disfunzionale.

Quando nella relazione la persona sente di subire un torto, la rabbia sperimentata genera un momentaneo desiderio di allontanare l’altro e di separarsene. Tale emozione, che ha la funzione di proteggerci dalle ingiustizie, si trasforma rapidamente in senso di colpa per aver pensato di interrompere la relazione.

Possiamo definire il senso di colpa come quella rabbia che fatichiamo ad esprimere verso l’esterno e che si dirige come un boomerang all’interno, verso noi stessi. I comportamenti dell’altro vengono giustificati, assumendo su di sé il peso di quanto accaduto. Sopraggiunge nella persona il senso di colpa per il proprio agito e la percezione di essere responsabile dell’andamento negativo della relazione e per tale motivo in obbligo di riparare.

 Il dipendente affettivo è privo di una solida stima di sé, ritenendosi non abbastanza degno di amore, se non quando espressamente validato dal partner: è l’altro a determinare il valore e l’amabilità della persona. Tale sensazione gli impedisce di sperimentare un senso di pienezza nel ricevere amore, per cui ogni dimostrazione d’affetto sembra non essere sufficiente. Pertanto non ci si sente mai forti e sicuri dell’amore ricevuto, ma come un serbatoio che ha un foro, si cerca costantemente di riempirlo utilizzando numerose energie, senza mai sentirsi davvero pieni. Tale sensazione di pienezza viene delegata interamente all’altro e alla sua presenza. Questa costante percezione di inferiorità genera nella persona insicurezza, gelosia, paura che l’altro perda interesse, portando a silenziare i propri bisogni e a dedicarsi interamente a quelli dell’altro.

Un buon rapporto con i propri bisogni implica da una parte la capacità di tollerare la perdita, dall’altra la strutturazione di un sé coeso, di un funzionamento autonomo e di relazioni affettive mature.

In età evolutiva si sperimenta il conflitto fra il desiderio di mantenere un legame di dipendenza con le figure di accudimento e il bisogno di distaccarsene. L’integrazione e risoluzione fra questi bisogni permette di completare il processo emancipativo, generando cambiamenti nel rapporto con sé e con gli altri, con i quali la relazione non si struttura più sulla dipendenza ma sulla reciprocità. Se questo non avviene, si assiste ad un blocco evolutivo della persona, che vivrà faticosamente il distacco dalle figure di accudimento e dalle figure con cui in età adulta entrerà in relazione.

Quando viene meno un sistema di attaccamento sicuro il bambino rischia di strutturare schemi cognitivi disfunzionali sia rispetto al sé che rispetto all’altro, tanto da influenzare in età adulta la scelta del partner e lo stile relazionale. In tale dinamica infatti, il partner assume una posizione di controllo e potere, sfruttando la tendenza dell’altro all’annullamento pur di averlo accanto, facendo leva sul suo senso di colpa, colpevolizzandolo dei propri stessi errori, facendolo così sentire sbagliato, inadeguato, in dovere di migliorarsi e di farsi perdonare per un presunto danno arrecatogli.

Questa dinamica può sfociare in alcuni casi in forme di violenza psicologica, fisica o economica.

La dipendenza affettiva risulta infatti uno dei principali fattori di rischio per relazioni maltrattanti.

La terapia diventa in questo quadro uno strumento determinante per riconoscere tali dinamiche, alcune volte consapevoli alla persona, in altre completamente oscure. Ma anche per chi ha già raggiunto una consapevolezza sul tema, l’aspetto più faticoso spesso è individuare una strada differente, pensare a se stesso in un modo nuovo, allontanandosi da quella visione a tunnel che tanto caratterizza chi soffre di dipendenza affettiva.

Stare da soli viene troppo spesso associato ad essere soli, piuttosto che a stare in compagnia di se stessi.

“La solitudine ci permette di avvicinarci a noi, mentre l'isolamento è un muro che impedisce agli altri di accostarsi” ( M-J. Detjjens, ''Dire basta alla dipendenza affettiva'').

Il dipendente affettivo è privo di una solida stima di sé, ritenendosi non abbastanza degno di amore, se non quando espressamente validato dal partner: è l’altro a determinare il valore e l’amabilità della persona. Tale sensazione gli impedisce di sperimentare un senso di pienezza nel ricevere amore, per cui ogni dimostrazione d’affetto sembra non essere sufficiente. Pertanto non ci si sente mai forti e sicuri dell’amore ricevuto, ma come un serbatoio che ha un foro, si cerca costantemente di riempirlo utilizzando numerose energie, senza mai sentirsi davvero pieni. Tale sensazione di pienezza viene delegata interamente all’altro e alla sua presenza. Questa costante percezione di inferiorità genera nella persona insicurezza, gelosia, paura che l’altro perda interesse, portando a silenziare i propri bisogni e a dedicarsi interamente a quelli dell’altro.

Un buon rapporto con i propri bisogni implica da una parte la capacità di tollerare la perdita, dall’altra la strutturazione di un sé coeso, di un funzionamento autonomo e di relazioni affettive mature.

In età evolutiva si sperimenta il conflitto fra il desiderio di mantenere un legame di dipendenza con le figure di accudimento e il bisogno di distaccarsene. L’integrazione e risoluzione fra questi bisogni permette di completare il processo emancipativo, generando cambiamenti nel rapporto con sé e con gli altri, con i quali la relazione non si struttura più sulla dipendenza ma sulla reciprocità. Se questo non avviene, si assiste ad un blocco evolutivo della persona, che vivrà faticosamente il distacco dalle figure di accudimento e dalle figure con cui in età adulta entrerà in relazione.

Quando viene meno un sistema di attaccamento sicuro il bambino rischia di strutturare schemi cognitivi disfunzionali sia rispetto al sé che rispetto all’altro, tanto da influenzare in età adulta la scelta del partner e lo stile relazionale. In tale dinamica infatti, il partner assume una posizione di controllo e potere, sfruttando la tendenza dell’altro all’annullamento pur di averlo accanto, facendo leva sul suo senso di colpa, colpevolizzandolo dei propri stessi errori, facendolo così sentire sbagliato, inadeguato, in dovere di migliorarsi e di farsi perdonare per un presunto danno arrecatogli.

Questa dinamica può sfociare in alcuni casi in forme di violenza psicologica, fisica o economica.

La dipendenza affettiva risulta infatti uno dei principali fattori di rischio per relazioni maltrattanti.

La terapia diventa in questo quadro uno strumento determinante per riconoscere tali dinamiche, alcune volte consapevoli alla persona, in altre completamente oscure. Ma anche per chi ha già raggiunto una consapevolezza sul tema, l’aspetto più faticoso spesso è individuare una strada differente, pensare a se stesso in un modo nuovo, allontanandosi da quella visione a tunnel che tanto caratterizza chi soffre di dipendenza affettiva.

Stare da soli viene troppo spesso associato ad essere soli, piuttosto che a stare in compagnia di se stessi .

La solitudine ci permette di avvicinarci a noi, mentre l'isolamento è un muro che impedisce agli altri di accostarsi” ( M-J. Detjjens, ''Dire basta alla dipendenza affettiva'').


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